Un indirizzo di ricerca già consolidato in Europa e negli Stati Uniti, ma acquisito più recentemente in Italia, prende in considerazione i diversi contributi che le teorie della costruzione culturale del maschile e del femminile possono offrire alle arti della scena. Questo filone d’indagine muove dalla constatazione che se «la storia delle donne ha spinto a recuperare soggetti e campi dello spettacolo che il canone storiografico ha solitamente marginalizzato, l’interesse per le teorie del gender ha portato a rivisitazioni di carattere metodologico ed ermeneutico» nelle discipline teatrologiche. In particolare, a partire dalle teorie del genere come rappresentazione e da quelle circa la natura performativa della femminilità e della mascolinità di Judith Butler, si esplorano in varie direzioni i possibili legami fra teatro e gender. Il presente fascicolo si inserisce in tale contesto di studi mettendo a fuoco il concetto di differenza che, come un sottile fil rouge, attraversa tanto il mondo del teatro quanto quello del femminile. Entrambi contraddistinti da una costituzionale alterità nei confronti di ogni categorizzazione univoca e settoriale, essi si pongono ai margini dei ‘generi’ predominanti: la tradizione letteraria in senso stretto, da una parte, e il sesso maschile, dall’altra.
RIASSUNTO
Il presente saggio propone una lettura del romanzo A Paixão Segundo G. H. della scrittrice brasiliana Clarice Lispector sviluppata attraverso alcuni assunti tratti dalla filosofia della differenza sessuale. Nel romanzo lispectoriano del 1964 una donna, sola in una stanza della propria casa alle prese con un inatteso faccia a faccia con una blatta, si misura in un faticoso percorso interiore che la condurrà al progressivo dispiegarsi della sua voce di donna. Occasione di riflessione da cui prende le mosse il presente saggio è la possibilità di vedere nello spazio domestico della stanza il luogo di una vera e propria messa in scena del linguaggio femminile. Se da un lato infatti la stanza di Clarice Lispector richiama con forza la room of one’s own di Virginia Woolf, luogo emblematico di scrittura femminile, essa è dall’altro lato oscura figura del sottosuolo. L’immagine di una grotta, ambivalente spazio di reclusione, sembra infatti potersi sovrapporre allo spazio della camera, per inserirsi all’interno della presente lettura come luogo simbolico da investigare attraverso elementi desunti dell’interpretazione critica del mito platonico della caverna elaborata dalla filosofa della differenza sessuale Luce Irigaray. Tali spunti riconducono inaspettatamente al romanzo lispectoriano, conferendogli nuovi impulsi, nuove traiettorie di pensiero, e consentono di osservare la messa in scena del linguaggio che ha luogo nel romanzo di Lispector attraverso risonanze di un femminile da giocarsi e da rilanciare entro lo spazio sospeso della pagina scritta.
SUMMARY
This essay outlines a reading of the novel A Paixão Segundo G. H. by Brazilian author Clarice Lispector developed through some assumptions drawn from the philosophy of sexual difference. In Lispector’s novel of 1964 a woman, alone in a room of her own apartment, grapples with an unexpected face-to-face with a cockroach. Experiencing an uncanny encounter with the dark insect silently haunting the space of the room, the protagonist engages with a dizzy inner journey that will lead her to the gradual unfolding of her own feminine voice. This essay considers the domestic space of the room, in which the whole scene takes place, as the space of an actual staging of a woman’s language. If the room of Lispector’s novel strongly evokes Virginia Woolf’s room of one’s own, emblematic space of women’s writing, it is on the other hand possible to consider
the domestic space of A Paixão Segundo G. H. as a dark figure relating to the underground. The image of a cave, conceived as an ambivalent space of captivity, fits within the present reading as a symbolic place to be investigated through some elements deriving from the critical interpretation of the Platonic myth of the cave as it has been developed by the philosopher of the sexual difference Luce Irigaray. These crossing references lead unexpectedly back to the lispectorian novel, giving it new impulses, tracing new trajectories of thought.
RIASSUNTO
Nella seconda metà del Cinquecento le attrici fanno il loro primo ingresso sulle scene della Commedia dell’Arte. Nell’articolo si prende in esame il caso di Virginia Ramponi, moglie dell’attore e drammaturgo Giovan Battista Andreini, e del repertorio di testi poetici che la riguardano. In particolare, si considera la raccolta manoscritta, ancora parzialmente inedita, intitolata Poesie di diversi in lode dei coniugi Gio. Battista Andreini, detto Lelio, e la moglie Virginia, nata Ramponi, detta Florinda (codice Morbio I della Biblioteca Nazionale Braidense). Oltre alle lodi stereotipate della bellezza femminile, le poesie per Florinda presentano il ricordo delle sue interpretazioni in veste di attrice o cantante, le sue esibizioni en travesti, la sua versatilità e il suo talento nel recitare il lamento e la pazzia. Il canone delle bellezze cinquecentesco, nella sua forma breve e lunga, costituisce il tratto fondamentale presente nei componimenti. I consueti stereotipi del canone sono tuttavia arricchiti da elementi di derivazione teatrale. Si presenta un modello di bellezza che si esprime soprattutto nella dimensione della performance, nella quale ad essere oggetto di ammirazione non è semplicemente il corpo dell’attrice in se stesso, ma il suo agire sulla scena. Nonostante una certa ripetitività, non si tratta sempre di vuota retorica d’occasione: in qualche caso l’immagine dell’attrice fissata sulla carta sembra il frutto di un’osservazione vissuta in prima persona. In questo modo i componimenti, secondo la loro dichiarata aspirazione, riescono nell’impresa di tramandare nei secoli la memoria di Florinda e della sua performance.
SUMMARY
During the second half of the 16th century actresses came on the scene of the Commedia dell’Arte. In this article the case of Virginia Ramponi, wife of the actor and playwright Giovan Battista Andreini, is analyzed together with a repertoire of poetic works concerning her. In particular the handwritten anthology, still partially unpublished, entitled Poesie di diversi in lode dei coniugi Gio. Battista Andreini, detto Lelio, e la moglie Virginia, nata Ramponi, detta Florinda (code Morbio I of the Biblioteca Nazionale Braidense). In addition to clichéd praise for feminine beauty, poems for Florinda present memories of her performance as actress or singer, her en travesty interpretations, her versatility and talent for playing pain and madness. The standard of beauty of the Sixteenth century, in both short and long form, is the main feature of the works. The usual stereotypes are nevertheless enriched by elements derived from the theatre. Beauty standards presented here mainly concern the aspect of performance, in which the object of admiration is not simply the actress’s body itself, but her acting on stage. In spite of a certain repetitiveness it is not always empty rhetoric: in some cases the image of the actress described on paper seems to be the result of observation lived in first person. In this way, the works fulfill their declared ambition and succeed in preserving through the centuries the memory of Florinda and her performances.
RIASSUNTO
La poesia d’occasione dedicata agli artisti di teatro si è rivelata fonte interessante per la storia dell’attore, utile a ricostruire il rapporto di significazione fra scena e pubblico; un contributo che necessita però della dovuta contestualizzazione e di circoscritti territori di analisi antropologica. Anche a Milano si componevano versi per elogiare i talenti della scena, soprattutto per le figure femminili che affascinavano col canto o la danza. Il saggio rende noti alcuni componimenti conservati presso la Biblioteca Braidense, dedicati ad alcune virtuose fra Seicento e Settecento: Barbara Riccioni, Maria Landini e Caterina Gabrielli. Attraverso l’analisi dei versi si intende ripercorrere alcune tappe della nascita della nuova professione della cantante, nonché evidenziare le sue trasformazioni nel corso del Settecento, che porteranno all’emarginazione dei sopranisti; si potrà identificare la peculiarità dell’arte femminile delle cantanti dell’epoca; delineare la fisionomia e le aspettative del pubblico, il suo mutare nel tempo: un pubblico differenziato, appassionato, sempre più colto, che richiese una maggiore competenza teatrale e musicale, nonché di assecondare quella transizione verso il vero a cui si orientava la cultura. Inoltre, grazie ai dati e ai libretti rintracciati, si contribuirà a delineare maggiormente la vita professionale di queste artiste della scena, Riccioni e Landini in particolare, sulle quali mancano specifiche biografie. Anche se talvolta stucchevoli, queste poesie sono dunque apprezzabili per perpetuare la memoria delle artiste e per ricostruire la cultura teatrale d’un tempo: un’attenzione maggiore a questi componimenti ‘minori’ apre alla storia del teatro nuovi fecondi percorsi di ricerca.
SUMMARY
The occasional poetry dedicated to theatre artists, has been an interesting source of information for the study of the history of actors, useful in retracing the significant relation between stage and public: this is nevertheless a contribution which requires the right context and well defined areas of anthropological analysis. In Milan also verses were composed to praise talents of the stage, especially women who fascinated the public with their singing and dancing. This essay brings to light some of the works kept in the Biblioteca Braidense, some of which dedicated to virtuosas of the 17th and 18th centuries: Barbara Riccioni, Maria Landini and Caterina Gabrielli. The analysis of the verses chronicles stages of the birth of the new professional singers and underlines that transformation during the seventeen hundreds which brought about a marginalization of male sopranos. It will thus be possible to identify the peculiarities of the art of the female singers of that period; to outline the public’s characteristics and expectations, which changed over time: a differing public, passionate, ever more cultured, demanding a greater theatrical and musical experience, as well as seconding that move towards truth to which culture was steering. Moreover, thanks to data and librettos which have been tracked down, it will be possible to delineate better the professional life of these stage artists Riccioni and Landini in particular, who are lacking specific biographies. Even though tiresome and affected at times, these poems are still appreciable to perpetuate the artists’ memory and to recreate the theatre culture of that period: a greater attention to these ‘minor’ works opens new research paths for the history of the theatre.
RIASSUNTO
La ricerca ricostruisce, basandosi su fonti dirette e materiali inediti, la vicenda biografica e artistica della contessa bergamasca Paolina Secco Suardo Grismondi a partire dal 1775, anno in cui iniziò a tenere un salotto che diventò tappa obbligata di gran parte dell’intellighentia italiana e francese del secolo. La contessa allestì inoltre una compagnia teatrale, di cui questo studio ricostruisce motivazioni e repertorio, che diede un decisivo contributo al risveglio intellettuale della società bergamasca del secolo e alla stabilizzazione di un sistema teatrale cittadino che fino a quel momento risultava piuttosto precario.
SUMMARY
The research, based on primary sources and unpublished materials, reconstructs the artistic life of the Countess Paolina Suardo Grismondi in Bergamo since 1775, when she began keeping a salon that became a destination for much of the intellighentia Italian and French of the eigtheenth century. The countess also staged a theatrical company, of which this study reproduces motivations and repertoire, which gave a decisive contribution to the cultural revival of the Bergamo society of the century and the stabilization of a city theater system which until then was rather precarious.
RIASSUNTO
La tragedia incompiuta Venise sauvée è un enigma e, insieme, un cristallo geometricamente perfetto. Oggetto di scarso interesse fino a oggi all’interno degli studi weiliani, la pièce concentra in versi e immagini il pensiero assoluto dell’autrice permettendo di approfondirne luci e ombre. Al tempo stesso quest’opera consente di avvicinare riscritture novecentesche poco conosciute del teatro tragico e di metterne alla prova forme e contenuti attraverso occhi femminili, appassionati di perfezione: occhi ‘imperdonabili’. Obiettivo precipuo di questo saggio è analizzare la genesi, la struttura drammaturgica e i principali nodi teorici che scaturiscono dal testo drammatico al fine di investigare il conflitto e, insieme, l’insospettabile rimozione, che li caratterizza. Più nello specifico, attraverso l’intersezione della pièce con altre opere della stessa autrice o prese da lei a modello, si vuole mostrare come la bellezza – concetto chiave del pensiero weiliano – finisca per tradire la trama stessa della realtà da cui trae origine – e di cui si offre quale accesso privilegiato – se tende ad annullarne la contraddizione. Il tragico non è negoziabile o redimibile e il bello scaturisce soltanto da ogni aporia consumata fino in fondo: è confine sottile e in continua oscillazione tra opposti inconciliabili che chiede di essere abitato.
SUMMARY
The unfinished tragedy Venise sauvée is an enigma and, at the same time, a geometrically perfect crystal. Subject of little interest, to this date, within the weilian studies, the play gathers in verses and pictures the absoluteness of thought of the author, allowing to deepen its shadows and highlights. At the same time, this play allows as well to bring little-known twentieth-century rewritings of tragedy in light, and testing its forms and contents through the eyes of women, lovers of perfection: eyes which are ‘unforgivable’. Primary objective of this paper is thus to analyze the genesis, the dramatic structure and the main theoretical points arising from the dramatic text in order to investigate the conflict and, together, the unexpected displacement which characterizes them. More specifically, through the intersection of the play with other works by the same author or with works taken by the author as model works, we want to show how beauty, which stands as a key concept of the weilian thought, ends up betraying the very fabric of the reality from which it originates (and to which it offers itself as a privileged way of access) when it tends to cancel contradictions. The tragic is not negotiable or redeemable, and beauty springs only from all aporia which are worn down to the bottom: thin line it is, and in constant oscillation between irreconcilable opposites which just ask to be lived.
RIASSUNTO
Il saggio viene a colmare una lacuna critica ricostruendo l’esperienza drammaturgica di Dacia Maraini attraversi un’ottica che tiene conto della doppia liminarità del ‘teatro al femminile’.
Spunti di analisi tratti da una molteplicità di testi del suo vasto corpus (da La famiglia normale a Veronica Franco meretrice e scrittora, passando, tra gli altri, per Il manifesto, Dialogo di una prostituta con il suo cliente, I sogni di Clitennestra e il brano scritto per il primo spettacolo del Teatro della Maddalena, Mara, Maria, Marianna) consentono di cogliere la rilevanza di un’esperienza teatrale che, dagli anni Sessanta ad oggi, coniuga impegno artistico e solidarietà in maniera del tutto originale attraverso una scrittura a ridosso della scena che mai dimentica il valore conoscitivo della parola.
Ideologie, istanze sociali e politiche, militanza femminista sono state spesso motori per una scrittura che va poi sempre oltre posizioni rigidamente programmatiche per indagare la complessità del reale e interrogarsi sull’animo femminile e umano tout court con uno sguardo consapevole e la convinzione – come dice lei stessa – che il teatro sia «il luogo delle grandi questioni che mettono in rapporto l’uomo con la trascendenza». Il saggio propone quindi anche un parallelo tra la drammaturgia della Maraini e il teatro Nō, anche biograficamente significativo per l’autrice, che chiarisce la forte presenza di fantasmi su una scena che fa del paradosso e della contraddizione uno dei suoi maggiori punti di forza.
SUMMARY
This essay fills a critic gap by piecing together Dacia Maraini’s dramatic experience through a perspective which reckons with the double liminality of ‘female’ theatre.
Analysis from passages from a good number of texts from her vast repertoire (from La famiglia normale to Veronica Franco meretrice e scrittora, to, among others, Il manifesto, Dialogo di una prostituta con il suo cliente, I sogni di Clitennestra and the play written for the first performance of the Teatro della Maddalena, Mara, Maria, Marianna) allows us to grasp the significance of a theatrical experience which from the Sixties up to today combines artistic involvement and solidarity in a unique way. She writes very close to the scene but never forgets the value of words.
Ideologies, social and political issues, feminist activism have often been the driving force behind her writing. But her work always transcends strict program views in order to investigate the complexity of reality and question the female and human heart with a conscious approach and the belief – as she says – that theatre is the «place of great matters connecting mankind with transcendence». This essay also presents a parallel between Maraini’s dramaturgy and Nō theatre, significant also in the author’s biography, explaining the large presence of ghosts on a stage, hers, which has paradox and contradiction among its main points of strength.
RIASSUNTO
Il saggio si concentra sull’attore drag Mario Montez, una stella nella New York underground degli anni Sessanta. Attraverso una ricerca storiografica e un’analisi dettagliata di due opere del ’65 aventi Montez come protagonista – il film dal titolo Screen Test II di Andy Warhol e lo spettacolo teatrale Screen Test della Play-House of the Ridiculous – il testo discute del particolare essere donna dell’artista, che va oltre la rappresentazione della femminilità come mera categoria astratta, e che anzi coinvolge il desiderio e l’immaginario della sua intera formazione artistica. Il drag di Montez è rafforzato da una rete di riferimenti iconografici stratificati e condivisi, riadattati sulla base di spinte affettive personali. In generale il testo riflette sulla momentaneità del travestimento, inteso come pratica performativa ed affettiva, come modo per re-inventare sulla scena forme appartenenti all’immaginario collettivo.
SUMMARY
The essay focuses on the drag performer Mario Montez, a star of the 1960s New York underground scene. By means of a historiographical survey and a detailed analysis of two 1965 works featuring Montez as protagonist – Andy Warhol’s movie Screen Test II and the show Screen Test by the Play-House of the Ridiculous – the essay discusses the specific womanhood embodied by the artist, going beyond not only the mere representation of ‘femininity’ as an abstract category, but also encompassing the desire and imagery of an entire artistic formation. Montez’s drag persona is nourished by a stratified network of shared iconographical references and recombines them in the light of a personal affectionate attachment, as well as of a critical elaboration. Overall, the essay reflects on the specific temporality of drag, understood as an affective and performative practice, as a tactical procedure for reinventing forms of the scene and of the collective imagery.
RIASSUNTO
L’ultima opera di Shirin Neshat, Women Without Men, si basa sull’omonimo romanzo di Shahnush Parsipur e riprende la fitta trama del lungometraggio realizzato dall’artista, già premiato con il Leone d’argento a Venezia nel 2009. Recentemente presentato come videoinstallazione, il lavoro dell’autrice guadagna una dimensione evocativa fortissima, emanata attraverso lo spazio e riorganizzata nella forma di un lungo nastro di schermi che segna un percorso filmico tutto al femminile. Prendono così forma le sfaccettature di una quotidianità ora sofferta, ora apertamente vissuta; delicatamente potenti per un verso e al contempo sommesse, le immagini delle cinque donne che appaiono vanno a costituire un’unica, complessa, profonda figura femminile che inevitabilmente va a sovrapporsi con quella dell’autrice.
L’installazione diviene il luogo di un’intimità così intensa da sfociare nella necessità di estroflettersi, contenitore di un’identità ricca, di una resa vivida che si mischia con l’autorappresentazione e che finisce per coinvolgere lo spazio e le immagini che in esso prendono forma. L'opera di Shirin Neshat dà così luogo a
un allestimento, che non si riduce a semplice gendered space, bensì esteriorizza una condizione esistenziale, identitaria e di genere. Evidenziando una dinamica nella quale il dato spaziale fa da contraltare a quello rappresentativo, l’analisi dà conto delle strategie visuali e sceniche messe in atto dall’artista, riconoscendo nei concetti di differenza e dis-posizione i meccanismi di una femminilità performata tramite la spazializzazione.
SUMMARY
Based on Shahnush Parsipur’s novel, the latest work by Shirin Neshat, Women Without Men, takes up the multifaceted plot of the feature film released by the artist, awarded with the Venice Silver Lion in 2009. Recently presented as a video installation, Women Without Men gains a strong evocative dimension, due to an emana¬tion of the image through space, and the organization of the screens as in a long visual ribbon. The result is a filmic itinerary, shaped onto the presence of five feminine characters, resembling a unique, deep and complex woman figure, which inevitably overlaps that of the author herself.
The installation becomes a place of intimacy, expressing the urge to trigger an eversion of the self. It is the visual manifestation of a rich identity and a vivid artistic performance, which becomes a self-representation involving the spatial element and those images harboured in it. Therefore, Neshat’s work designs a stage that doesn’t simply represent a gendered space, rather an existential, identitary, and gender condition. The analysis emphasizes the role of the spatial element as the counterpart to the representational one, highlighting the visual and staging strategies adopted by the artist. The notion of difference and dis-position will underscore the very mechanisms of a femininity, which is performed by means of spatialization.
RIASSUNTO
All’interno di un più ampio campo d’interesse, più esattamente sulle tracce dell’opera di due grandi maestri del Novecento, Jacques Derrida e Gilles Deleuze, come ben evidenzia Jean-Luc Nancy, pensare la singolarità e la differenza appare essere il compito filosofico del nostro tempo. E si tratta di un cammino che privilegia la scrittura, intesa nelle sue più articolate accezioni, con specifica attenzione, in questo caso, all’arte della scena. In tale linea di pensiero, con riferimento al tema della differenza, inevitabilmente si produce uno scarto fra lo «zampillamento di senso» (da un lato) e la «sua promessa destinata a non essere mantenuta» (dall’altro lato). Così, in questa prospettiva, la definizione di Stéphane Mallarmé dell’essenza della scrittura come «possibilità impossibile» acquista una particolare rilevanza. Allo stesso tempo sintetizza perfettamente la sfida di un interessante e innovativo progetto teatrale: Sinfonia per corpi soli. Ritratti di donne fra parole e musica, nelle sue due stagioni al Teatro Eliseo di Roma (2005/2006 e 2006/2007), con la direzione artistica di Antonio Calbi. La formula, in apparenza semplice, è in realtà estremamente ricca di contenuti, implicazioni, suggestioni: attrici molto affermate e giovani emergenti salgono sulla scena per raccontare altre donne attraverso i ritratti, le narrazioni, le analisi che ne hanno fatto importanti autrici del Novecento, compiendo un viaggio d’introspezione in tante diverse ‘stanze’ immergendosi nelle drammaturgie, negli universi letterari, nelle ossessioni delle autrici per, poi, condividere con il pubblico questa loro esperienza. In Sinfonia per corpi soli c’è tutta la passione di questa ricerca filosofica e artistica, nella quale la dimensione della fisicità riveste un ruolo centrale, precisamente nel corpo a corpo attrice/autrice. L’iniziativa affascinante, sotto certi aspetti per manifesta volontà destabilizzante ossia ‘non ortodossa’ rispetto alle sole tecniche del mestiere teatrale, punta a valorizzare la dialettica fra parola scritta e parola teatrale, spingendosi, senza alcun timore, ai limiti, sui margini, oltre le soglie, fra le scritture dell’estremo, nella radicalità e drammaticità della domanda sul senso dell’esistere. Con una riscoperta, la vocazione del teatro civile, ripensata sulla nuova scena urbana, e ascoltata nel respiro di una voce visibile.
SUMMARY
Within a broader field of interest, in the footsteps of the work of two great masters of the twentieth century, Jacques Derrida and Gilles Deleuze, as Jean-Luc Nancy rightly observes, thinking about singularity and difference appears to be the philosophical task of our time. It is a path that privileges writing, understood in its most articulate acceptations, with a specific concern in this case with the art of the stage. Following out this line of thought, with reference to the theme of difference, inevitably produces a gap between the «spurting of meaning» (on the one hand) and «its promise destined not to be kept» (on the other). So seen in this perspective, Stéphane Mallarmé’s definition of the essence of writing as «impossible possibility» is of particular relevance. At the same time it perfectly sums up the challenge of an exciting and innovative theatre project: Sinfonia per corpi soli. Ritratti di donne fra parole e musica, in its two seasons at the Teatro Eliseo in Rome (2005/2006 and 2006/2007), under the artistic direction of Antonio Calbi. The formula, apparently simple, is actually very rich in its contents, implications and associations. The actresses, including established performers and emerging talents, take the stage to recount other women through portraits, stories and analyses by important twentieth-century women writers, making a journey of self-examination divided into many different «rooms», immersing themselves in the dramaturgies, literary universes and obsessions of the authors, and then sharing their experience with the public. Sinfonia per corpi soli embodies all the passion of this philosophical and artistic research, in which the dimension of physicality plays a central role, specifically in the struggle between actress and author. The fascinating initiative, in some respects deliberately destabilizing or ‘unorthodox’ compared to the techniques of the theatrical profession, seeks to enhance the dialectic between written speech and theatrical speech, pushing fearlessly at the limits and margins beyond the threshold, between writings of the extreme, in the radicalism and drama of the demand on the sense of existence. With a rediscovery of the vocation of the civic theatre, rethought on the new urban scene and heard in the breathing of a visible voice.